In questi giorni si sta ripresentando lo scenario di allora:
l’inverno è sul finire, la natura ha quel particolare aspetto tipico dei
momenti che precedono il suo risveglio. Il sole, quando c’è, spicca nel cielo
terso, di un azzurro secco, che anticipa la primavera. Sotto i suoi raggi evapora
l’umido delle piogge invernali, anche quello accumulato nelle mie ossa.
Mi beo
dei suoi raggi avvolgenti e quasi sento caldo, ma solo finché non mi lascia,
nascondendosi dietro qualche albero o alla collina davanti a casa.
Sento quell'odore, l’odore di febbraio, che mi ha accompagnato
nell’addio ad Elia.
Fra poco sbocceranno ancora una volta le primule e avrò la
certezza che un altro anno è passato.
Mi domando cosa davvero mi ritorni alla mente. Cosa c’è da
ricordare?
La morte di Elia?
Con quella ci convivo ogni giorno… perché allora febbraio
diventa un mese peggiore degli altri?
Credo che sia perché a febbraio tutti i miei sensi
riconoscono i contorni del dolore.
Nell’odore di febbraio, nella sua luce, nella sua ombra,
negli alberi spogli e nei primi germogli c’è il mio dolore e come un déjavù tutti
i miei sensi tornano lì.
Sento nuovamente quel buco nel cuore e nella mente che si è
formato perché non sapevo come fare a vivere con un vuoto così.
La sensazione di nulla, di assenza, anche di fiato, ossigeno
per respirare. Assenza di voglia di vivere.
Da dove veniva quel vuoto? Elia è morta prima che vedessi il
suo volto, prima che sentissi la sua voce, prima che conoscessi il suo
temperamento: è morta prima di essere nata.
Allora cosa mi mancava, se di lei non avevo avuto nulla?
Mi mancava la speranza.
La speranza di vederla viva, di stringerla… di partorirla e
crescerla.
Ritorna vivido il ricordo del rimpianto di averla avuta
per troppo poco tempo.
Della rabbia di averla avuta, per doverla sentire scivolare
via.
Della vergogna, per essere una madre che non ha saputo dare
la vita.
Dell’impotenza, per non essere stata capace di proteggerla.
Di Elia oggi ho tutto quanto ho sempre avuto: la tenerezza e la soddisfazione d’essere
sua madre.
Ancora oggi, come prima che morisse, la porto con me senza
poterla vedere.
A volte sorrido perché la sento mia.
A volte piango perché mi sarebbe piaciuto avere di più.
Così febbraio è l’aspetto del mio dolore, ma Elia è in tutti gli altri mesi dell’anno.
Ecco perché mi infastidisce l'idea di vedere postato su qualche sito il suo nome e la data in cui l'ho partorita morta: ricordo teneramente Elia ogni giorno, ma francamente vorrei poter rimuovere quello più difficile che abbiamo trascorso insieme.Etichette: aborto, anniversario, dolore, figlio, lacrime, lutto, morte, perdita, piangere, questione di biglie, tenerezza