Il NUOVO bambino

Colui che si può perdere... sempre.

Il nostro NUOVO bambino è nato il 20 dicembre del 2012.
La sua attesa è stata scandita dal terrore di perderlo e dalla speranza di vederlo nascere vivo.
Un'altalena costante. Giorno e notte.
Nei momenti di puro terrore speravo che, se il suo destino fosse quello di lasciarci, lo facesse presto, in fretta, meglio se subito. Ogni giorno in più con lui vivo, era un giorno in meno di attesa, ma anche un giorno in più concesso, quindi un giorno in più di legame costruito, di cuore ceduto, di speranza alimentata: un giorno in più da digerire, qualora se ne fosse andato.
Ho cercato di fare le cose che avevo fatto sempre nelle mie gravidanze, ma il sapore dei gesti non è stato lo stesso. Ho tenuto soppresso quel gusto di essere sua madre. Un po' per scaramanzia, un po' perché avevo l'impressione che concentrarmi troppo su di lui avrebbe risvegliato quella sfortuna malefica che ci aveva fregati già due volte.
Eppure, nonostante mi sforzassi del contrario, il mio mondo era lui e solo lui. 
Mi era chiaro che attenderlo era tutt'altra cosa rispetto alle quattro bambine già arrivate.
Lui sapevo che poteva essere perso. 
Ne avevo esperienza, coscienza e sapevo cosa significava in termini di dolore.
Non è bastato superare il 1° trimestre, non è bastato giungere alla morfologica, non è bastato arrivare così vicino a lui da entrare in ospedale e fissare la data del parto (cesareo), parlare con l'anestesista e l'ostetrica.
E' nato in anticipo con un cesareo programmato. Durante l'intervento la dottoressa ha esclamato: "Eh no! Due giri serrati di cordone intorno al collo!"
Il vuoto nella mente, il sospiro tirato, l'attesa di sapere se quei due giri avessero portato via anche lui.
Sembrava la congiura del cordone! Siamo attaccati a quello per giungere qua ed è ancora quello che può strapparci da qui: ma perché?
In fretta i fatti che per  giorni, settimane, mesi si sono immaginati, si sono susseguiti senza lasciare spazio al tempo che occorreva per farli nostri. 
Non bastava essersi preparati, non bastava sapere che il peggio esiste, non bastava essere consapevoli che il peggio accade e poteva accadere a noi. 
Dopo il vortice dei pensieri che non sapevano prendere forma e mi tenevano lontana dalla sia morte che dalla vita, il pianto, il suo pianto.
Era vivo! 
Eppure non è bastato nemmeno partorirlo, poi sentirlo piangere, perché ancora era alta la paura di perderlo.
Era vivo, ma di corsa lontano da me perché la sua vita era in pericolo a causa di un distress respiratorio.
Lo hanno portato in patologia neonatale, subito, di corsa. Ancora prima che vedessi il suo volto, che mi concedessi di essere madre di un figlio vivo, finalmente.
Ancora una volta il ventre vuoto e le braccia vuote....
Mio marito faceva la spola fra la mia stanza e l'incubatrice del piccolo: mi raccontava di lui, mi diceva che c'era ancora. 
Ancora il pericolo di perderlo, ma questa volta potevo sperare in qualcosa di concreto: la cura effettiva dei medici che gli erano intorno.
Questa volta si stava facendo qualcosa per la vita che poteva scivolargli dalle mani, sapevo da cosa era affetto e c'era chi si adoperava per salvarlo.
Era meglio della morte silenziosa di un ventre immobile.
Ma ancora non c'era fiato da dare ai nostri polmoni.
Ancora non era finita.
Un medico ci ha rimproverati perché avremmo dovuto 'lasciarlo dov'era fino allo scadere del tempo', forse così gli avremmo risparmiato il distrss respiratorio, oppure lo avremmo condannato all'impiccagione per mano dei due giri di cordone.
Noi abbiamo sempre pensato che fosse più in pericolo dentro che fuori...
Dentro nessuno poteva sapere, vedere, intervenire... Fuori era fra le braccia di chi avrebbe potuto aiutarlo, forse, ma chissà... sarebbe anche potuto non bastare.
Come cambia la prospettiva... Cambia e non si riassesta più come al tempo dell'innocenza.
Ho sempre pensato che il ventre di una madre fosse il luogo più sicuro, quello più confortevole, caldo e amorevole. 
Ora so che non è così. 
Il ventre di una madre è insito di pericoli. Tanti, talmente tanti da non saperli individuare tutti. Insidiosi tanto da non essere previsti. Tanto gravi da non restituirti la vita che ci avevi messo perché crescesse e fosse pronta al mondo.
So che questo è solo uno dei miei demoni.
Quelle entità che prendono la forma del trauma che mi è capitato di subire.
Così nella mia pancia c'è il pericolo che sottrae vita ai miei figli. Il pericolo peggiore, quello verso cui sono totalmente impotente.
Il nostro NUOVO bambino ha combattuto il distress respiratorio e ha vinto.
Ma per me ancora non è fuori pericolo.
Non lo sarà mai davvero.
Molto spesso controllo che viva: ascolto il suo respiro, osservo che il suo petto si muova, gli accarezzo il volto per sentire se sia caldo.
Qualche volta capita che respiri flebilmente, che il volto sia più fresco e la testa mi esplode in una potente scossa di adrenalina: lo scuoto finché lo sveglio.
Sono rassegnata alla paura. Per lui l'avrò ancora per molto tempo. Forse per sempre.
E' un'altro demone: i figli muoiono.... qualche volta.
Le implicazioni di una perdita durante l'attesa non si chiudono nel 'coraggio' che si trova di tentare ancora. Tutto il resto della vita materna è segnato da questa esperienza.
E' diversa la gravidanza, diversa la relazione col figlio che verrà, diverso il modo di sentirsi madre, diverso il modo di fare la mamma.
Ciò che mi stupisce è che riconosco i contorni del mio cambiamento solo verso il nostro NUOVO bambino. 
Chi è arrivato prima è amato con maggiore attenzione rispetto a prima degli aborti, perché maggiore è il valore che riconosco nella vita dei figli, ma questo figlio, quello NUOVO, giunto dopo, è colui che si può perdere, ancora e sempre.
Come amo lui non amo nessuno, perché nessuno più di lui ho così temuto e temo di perdere.
Quando lo prendo in braccio sono sopraffatta da un'emozione che ancora non ha contorni precisi.
E' pura gioia.
Ripaga di qualunque ansia.
Lo tengo stretto a me come un preziosissimo tesoro da custodire, proteggere e godere.

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