Un'occhiata al lato oscuro della maternità.
Un bambino è una grande gioia.
Un bambino è profumo di borotalco, di pasta di Fissan... di latte e poi di biscottino Plasmon.
Un bambino è dolcezza, è pienezza e per alcuni è addirittura il senso della vita.
Vero. Tutto vero. Un bambino è questo e moltissime altre cose esaltanti.
E' il primo sorriso, il primo dito afferrato, la prima volta in cui dice 'mamma', le braccia tese verso di te (perché è te che vuole), la prima pappa, la prima volta in cui riesce a stare seduto... Una infinità di prime volte che dettano la sua crescita. Momenti che restano fissi nella memoria come le tappe del suo divenire e del nostro essere madri.
Poi c'è il resto.
Tutto ciò di cui non si parla mai.
Un bambino appena nato piange. Piange quando ha fame. Piange quando ha sonno. Piange quando è sporco. Piange per le coliche. Piange se non ha digerito. Piange quando si sente solo.
Un bambino appena nato - e finché non è capace di comunicare verbalmente in un altro modo - piange per la maggior parte del tempo.
Un neonato fa circa otto pasti al giorno, sei se si è più fortunati. Un neonato non conosce la differenza fra il giorno e la notte.
Quindi c'è da sommare la mole di aspettative di cui è investita la mamma.
Per esempio, è opinione comune che una madre conosca il proprio figlio per il solo fatto che sia il suo. Si dice che una madre debba seguire il suo istinto, perché 'lei sa'.
C'è addirittura una scuola di pensiero che sostiene di poter interpretare il bisogno del neonato sulla base del tipo di pianto.
Inoltre è opinione comune che tutte le donne siano in grado di allattare. Non è ammesso che il proprio corpo non sia in grado di produrre una quantità di latte sufficiente a sfamare il proprio bambino, ma se ciò avviene non è per cause naturali, piuttosto è da ricondurre ad un errato comportamento della mamma: probabilmente non attacca al seno il bambino abbastanza spesso da stimolare la produzione di latte.
Non importa se i capezzoli perdono sangue dalle ragadi, perché anche quelle sono colpa della mamma che non ha imparato ad attaccare correttamente il figlio al seno. Non importa se si è giunti ad attaccare il figlio fino a dodici volte al giorno senza avere più cognizione di giorno e notte e non importa se questo bambino grida perché ha fame, dato che dai quei poveri seni inadeguati non esce il dovuto.
Tutto questo (che è solo la parte più evidente, ma ci sono altre molte sfumature altrettanto faticose da sopportare), sommato alle notti insonni, ai giorni che si susseguono troppo in fretta senza lasciare spazio per una doccia o un pasto decente consumato seduta a tavola col resto della famiglia, tutto ciò che non ci dicono e a cui non ci preparano, può trasformarsi in un serio problema.
Sulla base della mia esperienza vorrei sfatare qualche mito e raccontare la mia verità.
Qualche volta i seni fanno cilecca (i miei l'hanno fatta tre volte su tre), e se è vero che il nostro istinto ci dovrebbe indicare la retta via, non è accettabile sentirsi dire che 'è colpa nostra perché non siamo capaci' o 'non siamo in grado'.
Vuoi che la natura mi abbia privata della scienza infusa su quale sia il modo più adeguato di attaccare mio figlio al seno?
E visto che dover rinunciare ad allattarlo naturalmente è già una privazione rilevante, non permetto a nessuno di rincarare la dose con congetture che minino la mia autostima, muovendo sui sensi di colpa più subdoli.
I miei seni non sono produttivi, fortuna c'è il latte artificiale! Una volta c'erano le balie... forse perché di seni improduttivi c'è sempre stato pieno il mondo?
Io non ho mai avuto il tempo e le energie per soffermarmi ad interpretare il pianto dei miei figli. Quel pianto che è più simile ad un urlo, insistente, stridulo, che perfora i timpani e mi fa cadere nel panico totale. L'obiettivo è farlo smettere, perché quel pianto mi strazia il cuore, toglie il fiato e grida che io sono una mamma incapace di 'far stare bene' il mio bambino.
Forse non lo conosco abbastanza. Forse non lo accudisco con sufficiente dedizione. Forse non gli voglio abbastanza bene. Forse non sono degna di essere madre perché priva di quell'istinto che dovrebbe dirmi cosa ha il mio bambino, visto che è proprio il mio.
I bambini sono una vera meraviglia e ad ogni conquista, ogni loro tappa per me è stato ed è un turbine di gioia, soddisfazione, gratitudine: perché è bello vederli diventare qualcuno, perché diventano quel qualcuno anche grazie a me, perché posso essere presente al loro divenire.
Eppure i bambini sono anche faticosi: molto faticosi.
C'è un pezzo della mia vita che non mi è più appartenuto: è appartenuto a loro.
Finché non hanno acquisito un minimo di autonomia, io sono stata a loro disposizione per ogni più piccola evenienza. E non ho mai davvero potuto contare su una regolarità nelle loro abitudini, perché ogni giorno è sempre stato un giorno nuovo.
L'esperienza mi ha insegnato che io non conosco i miei figli solo per il fatto che siano i miei.
I miei figli sono miei, ma sono altro da me.
Io francamente non ho mai saputo....
Nel tempo ho imparato a conoscerli, osservandoli con impegno e umiltà.
Ho imparato a decifrare le loro richieste e ho imparato a gestire il panico che si impadronisce di me quando non riesco a decifrarle.
Ho capito che non è sempre positivo rispondere alle loro richieste, perché il mio compito non è quello di fare ciò che mi chiedono, ma è quello di crescerli affinché sappiano stare al mondo, in salute e dotati di buone relazioni interpersonali.
Io devo fare ciò che è meglio per loro e non sempre questo coincide con ciò che mi chiedono...
C'è una parte molto poco palpabile che si intreccia fra me e loro. E' fatta del mio essere stata bambina, dell'idea che ho di madre, della mia capacità di essere madre e del loro essere figli.
Attraverso la mia relazione con loro, ho scoperto molto di me. Ho ritrovato cose di mia madre sepolte nella memoria. Ho scelto che tipo di madre avrei voluto essere. Scopro ogni giorno qualcosa di nuovo dei miei bambini e cerco il modo più adatto per essere la loro guida, il loro riferimento, il loro porto sicuro. Un porto da cui poter salpare per poi ritornare carichi di ciò che credo essere l'essenza del nostro stare su questo mondo: l'esperienza.
Essere mamma di un NUOVO bambino è questo e altro ancora.
La paura di perderlo e la gratitudine per non averlo perso, rendono alcuni aspetti della mia relazione con lui più difficile da gestire...
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