Ogni volta che mi sono imbattuta nelle considerazioni sulla mancanza di riguardo che le persone dimostrano di avere verso il lutto da aborto o perdita perinatale, ho trovato l'evidenza con cui mi sono scontrata anche io.
La gente non sa. Non immagina. Non conosce.
Dicono cose, pronunciano frasi che lasciano senza parole. Feriscono senza saperlo. Feriscono senza preoccuparsi di ferire.
Ma cosa c'è dietro queste frasi così taglienti?
Diverse cose.
Fondamentalmente c'è il bisogno di dire qualcosa a fronte di un racconto che lascia increduli anche gli ascoltatori.
C'è il bisogno di consolare, di sdrammatizzare, di spostare l'attenzione su qualcosa di meno doloroso.
Si dice che la gente non sappia sostenere il dolore altrui.
In verità io sono convinta che non sia un problema di sostenibilità, ma di comprensione.
La gente non capisce. Non sa capire. Non può capire.
Io stessa sono stata parte di quella gente prima di esserci passata attraverso. Io stessa ho pronunciato le frasi che si condannano. Io stessa, anche se donna, anche se già madre, non ho capito, finché non è capitato a me.
Mi è stato d'aiuto sapere di non essere l'unica circondata da tanta ignoranza, oltre a non essere l'unica demolita da un certo atteggiamento.
Per diverso tempo l'esistenza di questa attenzione unita ai suggerimenti utili rivolti alle persone che si trovano di fronte a questo dolore, ha legittimato la mia rabbia.
Ero arrabbiata verso tutti coloro che pronunciavano le solite frasi. Perché avrebbero dovuto sapere che non si fa.
Acquisito un certo distacco, ho riflettuto sulla realtà dei fatti...
La realtà è che quasi nessuno (se non nessuno), naviga su internet o acquista un libro per sapere come rapportarsi con la vicina di casa che ha appena perso suo figlio. Non lo fa per la vicina di casa e non conosco nessuno che lo abbia fatto per un parente più stretto.
Quindi questi suggerimenti restano nell'etere, hanno aizzato il mio disagio e nulla è cambiato.
Così ho cambiato atteggiamento.
Do per scontato che nessuno sappia e lo informo. Informo chiunque mi capiti di poter informare.
Ho smesso di essere arrabbiata con la gente: questa rabbia è inutile e infruttuosa.
Sono convinta che l'ipocrisia della gente e la sua ignoranza, si 'combatta' affrontandola a viso aperto, senza paura. Perché noi che ci siamo passate, possiamo avere l'onestà intellettuale di raccontare una realtà concreta e custodiamo la vera conoscenza.
E' una questione di ruoli.
Finché sono rimasta passiva, aspettandomi che gli altri mi consolassero - senza consolarmi, fossero dispiaciuti - senza melodrammi o pietismo, mi lasciassero l'esclusiva del dolore - senza farmi sentire la più sfigata della terra, comprendessero - senza poter comprendere, ero ingobbita, in attesa dell'inverosimile.
Così ho scelto un ruolo attivo e mi sono posta agli altri eretta e dignitosa. Priva di vergogna.
Credo che sia proprio quella a fare la differenza....
E' importante comprendere i meccanismi che portano gli altri ad avere un certo atteggiamento verso di noi, ma altrettanto importante è capire i meccanismi che portano noi ad avere un certo atteggiamento verso il prossimo.
Io volevo l'esclusiva di un dolore assurdo e immenso. Volevo un abbraccio che mi togliesse il peso del mio dolore. Volevo ascolto privo di giudizio. Volevo ascolto e poi silenzio. Volevo un posto per queste figlie che non c'erano e volevo che fossero gli altri a legittimarne uno. Non volevo pietismo, melodramma. Volevo che Dio e tutti i Santi ne restassero estranei. Volevo rispetto e spazio per non dovermi vergognare più di mostrare 'colei che non sa far nascere'.
In poche parole, volevo che gli altri elaborassero per me il mio dolore.
Alcuni hanno avuto un rispetto innato per me. Quelli a me più vicini sono stati adorabili. Sono stati solo alcuni. Gli altri sono inciampati spesso, ma hanno smesso quando io ho spiegato loro che sbagliavano nel dire e fare ciò che stavano dicendo e facendo.
Alcuni si sono irrigiditi (peccato!), con altri ho aperto un dialogo che ha arricchito tutti.
Per raggiungere questo risultato ho impiegato del tempo, ho lavorato sul mio dolore e sul rapporto con gli altri. Necessario e indispensabile, se non si sceglie una vita eremita.
Ho scelto (perché si tratta sempre di una scelta consapevole e mirata) il ruolo che avrei voluto avere fra gli altri. Non era quello di incompresa, né di depressa, né di irrimediabilmente segnata. Non potendo rinnegare da dove vengo, la sintesi è stata questa.
Ciò che ho imparato occupandomi di questo argomento, leggendo i suggerimenti altrui, le storie e le reazioni altrui, è che è tutto molto soggettivo: ciò che vale per me, non vale per un altro.
Ciò che conta è trovare un buon equilibrio con e per se stessi.
La gente non è nemica, è solo inconsapevole (fortuna sua!).
Più grave è quando non si tratta di gente comune, ma del medico, lo specialista, l'ostetrica e via così. E' da qui che parte la formazione anche della gente comune.
Secondo me è da qui che di più c'è bisogno di raccontare la propria verità, senza lasciarsi schiacciare dall'ignoranza. Senza timore di essere giudicati, perché sotto giudizio, semmai, dovrebbero essere loro.... e se non risultano all'altezza, basta rivolgersi a qualcun'altro.
Finché ci adatteremo a ciò che la società si aspetta, finché accetteremo che questo dolore non sia considerato, ci sentiremo sempre depredate di qualcosa...
Ma chi depreda chi? Io ho sentito di depredare me stessa, restituendo silenzio al silenzio e all'ignoranza.
Grazie a mamma Anna
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