Con la morte della mia seconda bambina, ho avuto bisogno di definire materialmente il tempo che era trascorso in attesa di abbracciare chi non avrei mai potuto abbracciare.
Volevo che il mio tempo si materializzasse negli oggetti che parlavano di ciò che avevo fatto in quei 10 mesi, di cui sembrava non restasse nulla. Ho sentito il bisogno di averne traccia, una traccia effettiva, concreta.
Così ho fatto per le bambine che non avevo più, la stessa cosa che avevo fatto per le bambine che avevo con me: la loro personale scatola dei ricordi.
Sono uscita appositamente per acquistare le scatole che avrebbero contenuto ciò che mi restava di loro. Ho scelto il colore e la forma più adatta, pensando a ciò che avrebbero dovuto contenere. Inoltre ho scelto e acquistato due piccoli album in cui disporre le foto che mi ritraevano mentre le portavo con me. Foto che avevo selezionato con cura, salvato su una micro-sd e fatto stampare dal fotografo. Quindi le ho disposte nei piccoli album, in ordine cronologico, avendo cura di annotare la data e il luogo in cui erano state scattate...
Mi è sembrato di dedicare loro lo stesso tempo di qualità che avevo dedicato a chi era ancora intorno a me.
Mi sono presa un tempo per me, da dedicare a loro, nel quale essere la loro mamma.
Loro non erano meno importanti solo perché non erano in vita... Ed erano esistite davvero... lo diceva la mia pancia sporgente impressa nelle foto.
E' stato doloroso raccogliere le ecografie, guardarle e riporle nella scatola di ognuna di loro.
Per Noah mi restava anche una delle due tutine che avevo fatto in tempo a comprale, la seconda giace ripiegata nella sua piccola bara. Per lei era anche la 'Favola delle biglie'...
Poi la parte più difficile: chiudere le scatole.
Le ho chiuse.
Come si chiude una porta e si lascia dall'altra parte ciò che c'è dietro.
Su ogni coperchio, con un grosso pennarello indelebile, ho scritto, in un corsivo armonioso, il nome della bambina a cui apparteneva il contenuto.
Ho preso le due scatole e le ho poste sull'ultimo ripiano di uno degli armadi di casa.
E' un armadio che apro spesso. All'inizio mi ci cadeva sempre l'occhio... E lo distoglievo rapidamente, per non scoppiare a piangere...
Col tempo è diventato normale trovarle lì. Mi sono abituata ad avere le due scatole su quell'ultimo ripiano, come mi sono abituata a vivere senza le bambine che non ho più.
In quelle scatole c'è il mio tratto di vita insieme a loro, mentre loro sono al cimitero.
Esiste traccia del loro passaggio, nella mia vita e nel mondo.
Sapevo che per 'guarire' dal mio lutto, avrei dovuto necessariamente 'lasciarle andare'.
Avevo una gran paura di farlo. Avevo paura di non riuscire più a ritrovarle.
Alcuni rituali mi hanno aiutato: scrivere, seppellirle, fare per loro la scatola dei ricordi.
Attraverso questi gesti ho compiuto atti che hanno definito il mio ruolo, hanno dato loro un posto preciso e hanno lasciato abbastanza tracce, affinché potessi lasciale, sapendo di poterle ritrovare.
Ho aperto quelle scatole una sola volta: mi occorreva lo storico di alcuni esami eseguiti in gravidanza...
In verità, lasciarle andare non ha affatto significato dimenticarle o cancellarle dalla mia vita, tutt'altro. Lasciarle andare mi ha permesso di imparare a vivere con la loro assenza.
L'utilità di quelle scatole oggi è quella di tramandare il ricordo di due figlie passate nella nostra vita e tramandare l'esistenza di due sorelle che i fratelli non hanno conosciuto. Esse contengono un pezzo del nostro albero genealogico, della nostra storia familiare.
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