"Nadia", dal blog di Giulia Fenni

Dal blog di Giulia Fenni 
<<Oggi niente foto, volevo solo condividere con voi una cosa che mi è successa…
Al supermercato ho incontrato una donna che ha cambiato radicalmente la mia idea di ostetricia e del tipo di ostetrica vorrei essere.
Si chiama Nadia, è una ragazza di origini marocchine perfettamente integrata,dato che parla il dialetto stretto e incomprensibile della mia terra di origine,le marche,giunonica, con gli occhi scurissimi e il sorriso buono.
L’ho incontrata durante il tirocinio. Era l’ultimo anno, turno in sala parto, leggo tra le consegne la sigla più dura:MEF. È una sigla che mi toglie per un po’ il respiro ogni volta, è capitato alla mia mamma e anche se ero piccola ne ho molti ricordi.Ascolto le ostetriche, è una secondigravida,era sotto stretto controllo medico per multiple malformazioni  fetali e trisomia 18 evidenziata dall’amniocentesi, ma la donna non aveva voluto interrompere la gravidanza, fino al controllo del giorno prima, in cui avevano diagnosticato la morte in utero, a 32 settimane. La signora era stata indotta, ma non c’era segno di attività contrattile. Bisognava fare un prelievo, ma tutti cercavano di evitare quella stanza troppo piena di dolore,così andai io. Sono entrata in camera in punta di piedi, la signora era seduta sul letto, sola e guardava fuori. Sentendomi arrivare si è girata e mi ha sorriso dicendomi:”io ti conosco”.
Sono rimasta spiazzata, immaginavo pianti e disperazione invece fissavo quel sorriso amaro, ma effettivamente quel viso non mi era nuovo. Mi ha raccontato mentre facevo il prelievo che aveva partorito 15 mesi prima una bambina e si ricordava di me,che ero al primo anno e avevo assistito al parto. L’avevo poi aiutata a fare il bagno e a vestire la sua bambina.Mi fa vedere la foto, una bimba mora riccissima, grassoccia che ride. Mi racconta che questa non era una gravidanza prevista, che stava facendo una tarepia per la tiroide che probabilmente era alla base dei problemi della bambina. Ha tanta voglia di parlare e io tanta di ascoltare. Mi racconta tante cose mentre compiliamo i documenti.”Non ho un nome,possiamo aspettare per quello?”.
Esco dalla stanza turbata dalla serenità di quella donna, anche se il dolore era palpabile. Il turno procede frenetico finchè non suona il campanello della camera di Nadia. Ha rotto il sacco e sente già spingere. Andiamo in sala parto, la bambina è podalica e l’ostetrica mia tutor,donna e insegnante deliziosa, mi prende da parte e mi chiede se voglio assisterla io. “È podalica e la bambina non è viva, se tu te la senti, puoi assiterla, altrimenti faccio io. ” Ho accettato subito,un podalico non capita spesso. Mi sono concentrata su quello,sulle manovre, sul disimpegno, sul guidare Nadia. La bambina, piccolissima per l’età gestazionale,  nasce facilmente.Ha tante piccole malformazioni ma ad un occhio inesperto possono sfuggire facilmente. È bellissima. Chiedo a Nadia se vuole vederla, ma lei scuote il capo vigorosamente. Avvolgo la piccina in un telo e la appoggio nell’isoletta neonatale, abbastanza lontana perchè la mamma non la vedesse direttamente, ma non troppo, non fuori completamente dalla visuale. Assisto il secondamento, accompagno Nadia in camera. Mi chiede com’è la bambina. Provo a descriverla, le dico che assomiglia alla sorella ed è vero,ma Nadia non vuole vederla. “Va bene così” mi dice,”credo che la chiamerò Sofia”. Mi chiede di accompagnarla in bagno e quando torniamo a letto mi abbraccia forte, così tanto da togliermi il fiato, ringraziandomi. “Grazie perchè hai trattato lei come se fosse una bambina vera, viva, e hai trattato come come una mamma, una mamma vera”.
Sono uscita da quella camera stordita, come ubriaca, sono andata nello spoiatoglio e sono scoppiata in lacrime. Un pianto liberatorio, per sfogare la tensione e un carico emotivo troppo pesante per le mie giovani spalle. Ed ho deciso che l’argomento della mia tesi di laurea sarebbe stato questo:il lutto perinatale e la sua assistenza. Perchè io mi ero gettata impreparata dentro ad un dolore più grande di me e Nadia mi aveva insegnato a gestirlo. Perchè i professionisti presenti scappavano dal dolore, invece Nadia aveva solo bisogno di un appoggio, di non essere sola. Di aiuto, e in quell’ospedale nessuno era preparato per aiutarla e lei l’ha sentito, l’ha percepito. Ed è una realtà che non dovrebbe esistere in nessun ospedale.
Oggi, come vi dicevo, ho incontrato di nuovo Nadia, al supermercato. Era con la sua bambina e ci siamo riconosciute subito. Mi ha abbracciato forte e mi ha ricordato perchè lotto così per il mio lavoro. Perchè ho deciso che l’ostetricia sarà,prima o poi, la mia professione. Perchè voglio approfondire una branca così particolare come quella del lutto perinatale, anche se significa ogni volta sentire commenti come “ma come, fai l’ostetrica, fai nascere la vita e ti interessi della morte?” anche da colleghe. Prima o poi tutti incontreranno una Nadia che gli farà aprire gli occhi così. Perchè quando ti abbraccia e ti ringrazia una mamma con in braccio il suo paffuto bambino è gratificante, è vero, ma quando ti ringrazia una mamma che ha vissuto un dolore così….. che in tua presenza ha vissuto una delle esperienze più strazianti ma trova un motivo per dirti grazie, allora ti viene da pensare che forse servi a qualcosa, che puoi fare un po’ di bene nel mondo. Che un posticino per te magari c’è, e forse te lo meriti anche….
So che leggi perchè ti ho parlato di questo blog.
Grazie Nadia.>>

Grazie a te Giulia.

Etichette: , , , ,